1) il ripristino della corda che porta al bivacco Carrel che era stata portata via da una frana, è un po' più ripida della precedente;
2) sopra la "corda della Sveglia" il nuovo itinerario non attraversa più il Linceul ma passa un po' più in alto.
Dal rifugio Oriondè si continua per pascoli, detriti e poi lungo un vago sperone arrotondato fino ai nevai alla base della Testa del Leone.
Continuare per tracce tra i detriti fino al primo nevaio da risalire o contornare sul suo bordo destro e per un facile canale raggiungere il pianoro detritico soprastante. Si raggiungere il secondo nevaio da costeggiare lungo il suo margine inferiore fino a portarsi alla base della Testa del Leone.
Traversare verso destra alla sua base (spalle a valle) su terreno ripido e piuttosto infido e raggiungere il Colle del Leone (3581 mt) dal quale ci si porta fino alla base di alcune placche inclinate (3650 mt circa).
Salire sul filo di cresta su traccia marcata con qualche facile passaggio su roccia (II) fino alle prime corde fisse che conducono al tratto più verticale e faticoso (le Cheminèe). Da quest'ultimo, in breve alla capanna Carrell (3835 mt). Circa 5 ore.
Usciti dal bivacco risalire le facili roccette che portano alla spianata sulla quale sorgeva una volta la Capanna Luigi Amedeo per superare un sottile tratto di cresta che conduce immediatamente alla prima corda fissa della salita, la celebre “Corda della Sveglia” che ci consente di superare atleticamente una bella placca con tetto finale (III+) per portarci sul versante meridionale della “Gran Tour” evitandone lo spigolo, sulle placconate ed aeree cenge verso destra;
Risalire un intaglio roccioso e attraversare l’incassato “Vallon des Glaçons” per portarsi, usando le corde fisse verso sinistra, sul soprastante terrazzino.
Al termine delle corde fisse spostarsi in orizzontale verso destra, in direzione di uno stretto passaggio orizzontale tra due rocce, che da accesso ad un estetico camino di 25 metri che risaliremo aiutandoci con un solido ma non essenziale canapone, sino alla cengia soprastante (II+). Fine prima sezione corde fisse.
Con un altro tratto orizzontale verso destra, su cenge protette da sporadici spit, si giunge sotto un canalino, oltre alcuni roccioni più grossi che risaliremo in direzione dell’evidente cresta formata da diversi gendarmi rocciosi, la “Cresta du Coq”: il primo tratto viene affrontato sulle facili cenge del versante italiano per poi ritornare in cresta superando un ripido salto roccioso piegando a destra lungo una bifida cengia inclinata, sottile ed abbastanza esposta, denominata “Mauvais Pas” (III), giungendo ai piedi di una placca “Rocher des Ecritures” ove dovrebbe trovarsi inciso il nome di J.A. Carrel. Qui si scende brevemente, per cenge e facili roccette, verso quel che resta del “ghiacciaio del Linceul”; sul margine superiore del nevaio è fissato un utile cavo metallico sul quale potremo facilmente proteggerci.
Giunti al termine del cavo metallico ci si sposta ancora brevemente verso destra seguendo sporadici chiodi, fettucce e bolli rossi, per poi salire decisi verso la cresta in direzione dell’evidente catena che pende in un netto intaglio verticale emergente sul filo di cresta: si tratta della “Grande Corde” o “Corde Tyndall” lunga circa 30 metri che ci aiuterà moltissimo, soprattutto nel suo ripido tratto terminale (III+) (4.080 m; 2h).
Giunti sul filo di cresta l’arrampicata è aerea ed esposta, mai difficile, su roccia pulita e salda: è possibile trovare in questo tratto, a guidarci nei passaggi, pochi bolli rossi sbiaditi, chiodi con fettuccia e spit.
Inizialmente il suo sviluppo è su facili lastroni appoggiati per poi portarsi a superare brevi e semplici semplici salti rocciosi tenendosi tendenzialmente in cresta o sul versante svizzero.
Dopo un lungo tratto, quasi in vetta al pic Tyndall, il terreno diventa detritico e si arriva sotto un salto roccioso di circa 15 metri, più rilevante dei precedenti, che dovrà essere affrontato direttamente sul filo di cresta o nell’evidente intaglio, poco a destra della cresta sopra un ripido canalino detritico, con brevi passi di arrampicata (II) sino a giungere sulla “Gravate”, cengia esposta sul versante italiano che, si riporta in cresta permettendoci di sbucare in cima al pic Tyndall; in questo tratto non ci sono molti evidenti segni rossi, chiodi o fettucce a guidarci tuttavia potremo fare affidamento sulle evidenti rocce rigate e levigate da innumerevoli punte di ramponi, chiaro segno, se non coperte dalla neve, della via di salita e discesa preferenziali (4.241 m; 3h).
Dalla vetta del pic Tyndall si prosegue verso la “Testa del Cervino” sul filo di cresta che a mano mano diventa sempre più sottile ed esposto sui due ripidissimi versanti settentrionale e meridionale.
Facilmente questo tratto di percorso potrà essere innevato, in tal caso si ponga moltissima attenzione alle eventuali cornici. In ogni caso tale tratto di cresta è delicato quanto stupendo; ci troveremo a disarrampicare due brevi torrioni, delicati e lievemente strapiombanti, comunque ben protetti da alcuni chiodi con fettuccia e spit.
Ultimo passo che ci separa dalla “Testa del Cervino” è il superamento di uno stretto e ripidissimo intaglio che, se non si ha la fortuna di trovarlo colmato dalla neve, dovrà essere affrontato proprio con una sgambata: non a caso tale passaggio è denominato “Enjambée”.
Segue un tratto di salita su facili ma abbastanza infide rocce, quasi sempre ghiacciate, che tuttavia non risulta essere molto ben evidente; dal basso è possibile però ben vedere la prima della serie di corde fisse che ci permetterà di vincere questi ultimi cento metri di dislivello, puntiamo ad essa tenendoci tendenzialmente sulle solide rocce di un netto diedro che forma sopra un ampio terrazzino “Col Félicité” ove parte il canapone.
Risalito il ripido muretto di una decina di metri che segue, servito dalla corda fissa, ci dirigiamo contro un’altra ripida parete, poco più alta della precedente, ove comincia un’altra corda fissa che, superate delle difficili placconate e spostandosi infine leggermente in traverso verso destra, permette di arrivare al primo gradino penzolante della “Scala Jordan”, scala di corda con 25 robusti pioli in legno che ci permette di superare, faticosamente, una placca strapiombante molto esposta di una decina di metri, altrimenti decisamente difficile (IV+).
Dopo la scala la “Corda Piovano” ci aiuta a salire un ripido e solido diedro verso sinistra sino a sbucare sopra una bella placconata spiovente, sempre servita dal canapone che verrà superata su fessura, la “Gite Wentworth”, a riguadagnare lo spigolo della cresta formata ora da solidissimi blocchi granitici.
Terminata l’ultima corda fissa oltre la placca spiovente si risalgono le facili rocce di cresta, superando un estetico diedrino, per giungere infine sulla cima della vetta italiana del Cervino e in breve alla Croce posta nel colletto tra le due opposte vette (4.476 m; 5h).
Per raggiungere la vetta svizzera, di due metri più elevata rispetto a quella italiana, è sufficiente percorrere sul filo tutta l’aerea cresta sommitale facendo molta attenzione alle eventuali cornici sugli impressionanti versanti N e S (4.478 m; 5h10′).
- Cartografia:
- IGC valtournenche
- Bibliografia:
- i 4000 delle alpi di Mario Vannuccini