Si noti che la salita si svolge in una delle zone di rispetto del Parco del Beigua, ragion per cui ci risulta che l’arrampicata sia consentita solo dal 31 di luglio al 1 di dicembre.
Seguendo la strada privata che si stacca sull’esterno della curva, si raggiunge quindi il sentiero che risale la Val Lerone in riva sx orog., in direzione di Ponte Negrone (palina in legno).
Raggiunto il ponte Negrone (30min. circa in falsopiano) lo si attraversa per imboccare il c.d. “sentiero dell’Ingegnere” (segnavia “I”).
La parte alta della val Lerone, infatti, è formata da due bacini divisi al centro dalla rocciosa Costa dei Guadi, che separa la valle percorsa del rio Leone (che si abbandona dopo poco) da quella percorsa dal rio Negrone (dove s’inoltra il sentiero dell’Ingegnere).
Inizialmente il sentiero si mantiene in riva sx orog. al rio Negrone ma, in breve, si raggiunge un guado; successivamente, si raggiunge e si attraversa anche il rio Cu du Mundu (che nasce proprio a monte delle Rocche dell’Aguia, sotto il monte Argentea) nel punto in cui confluisce nel rio Negrone, in ambiente aspro e selvaggio dominato da una serie di squadrati pilastri di roccia che precipitano dalla contrapposta Costa dei Guadi (si tratta infatti di un’antica palestra detta “dei laghetti”; 15min. circa da ponte Negrone).
Il sentiero dell’Ingegnere, a questo punto, lascia il fondovalle, per risalire il pendio con ampi tornanti, e portarsi presso un bivio a quota 500m. circa: evitando ora di svoltare a dx verso il rifugio Sambuco (che offre comunque un ottimo punto d’appoggio a soli 10 min. circa di cammino) si prosegue verso sx, ritornando in direzione della forra del Cu du Mundu (segnavia “c5”). In breve, si raggiunge un panoramico punto di sosta, che affaccia proprio sull’incombente cresta rocciosa delle Rocche dell’Aguia (panchina e palina in legno “pose du campanin”).
Qui conviene approfittare dell’ottimo colpo d’occhio sull’intero percorso, per individuarne già l’attacco, e prendere i necessari punti di riferimento. Infatti, da qui la cresta mostra il suo versante più solatio, rivolgendo a levante una seria di scudi di roccia inclinati, interrotti da due più evidenti cenge erbose; l’intera struttura è poi delimita alla base da un canalone obliquo, piuttosto incassato, dove attacca la via, e che poi si sfrutta anche in discesa.
In ogni caso, dopo poco il sentiero scende ad intercettare il rio Cu du Mundu, proprio a monte della ben nota forra, dove inizia anche un percorso torrentistico attrezzato (targa metallica del CNSAS; 30min. circa dalla confluenza con il rio Negrone).
A questo punto, subito dopo aver guadato il rio, si cerca una vaga e ripida traccia che esce a monte del sentiero, e che risale faticosamente nel bosco sulla sponda sx (faccia a monte) dello stesso canalone che scende dalle Rocche dell’Aguia (qui meno marcato).
Raggiunto un pendio detritico piuttosto instabile (ometti) si attraversa il canalone proprio sotto un grosso masso erratico, che crea una specie di naturale riparo. Si ritorna quindi a salire all’interno di un bosco più rado (ulteriori ometti) fino ad un primo satellite di roccia che, nel suo punto più basso, forma anch’esso una specie di riparo (ottimo deposito per eventuali materiali). Costeggiando il satellite verso sx (sempre faccia a monte) si entra quindi nel canalone (che qui diventa decisamente scosceso e incassato) e lo si risale per poche decine di metri, fino all’attacco della via, collocato alla base di un’invitante linea di diedri (targhetta metallica; 10min. circa da quando si abbandona il sentiero; 1h30-1h45 circa complessivamente).
L1 (35m.)
Il primo diedrino si supera sul fondo, con movimenti in opposizione, o poggiando a dx, sulla faccia maggiormente abbattuta (III e passo III+ in uscita; 1 alberello a sx).
Si traversa quindi una rampa di rocce un pò rotte ed erbose, verso la base di un più ampio e ripido diedro, da superare con movimenti simili, ma più difficili e sostenuti (IV, passo IV+ in entrata; 2 ch.); a metà si lascia il fondo verso dx, sfruttando una caratteristica lama di roccia, per poi rientrare puntando alla sommità, su prima cengia erbosa (IV poi III e II; 1 ch.; sosta su alberello con cordino e anello di calata).
L2 (25m.)
Individuata una successiva e più profonda linea di diedri, se ne raggiunge la base, vincendo un primo zoccolo di roccia all’interno di un canalino (II con passo di III; sosta su albero).
L3 (40m.)
Afferrata la fessura sul fondo del diedro, la si sfrutta per superare un primo passaggio che butta in fuori (V; 1 nut artigianale e 1 ch.). Si continua quindi sul fondo del diedro, poggiando sulla sua faccia dx, fin quando la parete non si raddrizza nuovamente (III; 1 cl. con cordino e 1 ch.); si esce allora verso dx, sfruttando anche qui una caratteristico “arredo” di roccia (che impone attenzione e delicatezza) per proseguire poi più facilmente, sempre in diagonale, fino ad uscire sulla spalletta a dx della prima punta (IV+ poi III; 3 ch.; sosta su 1 spit e 1 ch. con cordino e anello di calata).
L4 (40m.)
Evitando ora di stuzzicare la sommità della prima punta (ingombra di sfasciumi) si scende sull’opposto versante, per guadagnare una forcella posta all’estremità di una seconda cengia erbosa. Da qui si riprende a salire in obliquo sulle rocce appoggiate a sx del filo di cresta (II e III; 1 alberello). Superando un più ripida fascia di roccia, si raggiunge quindi un tratto orizzontale di cresta, che poi si segue fino al secco spigolo di una seconda punta (III+ poi I; ulteriore alberello sulla cresta; sosta su 1 ch. con cordino, da rinforzare con protezioni veloci).
L5 (40m.)
Si riprende a salire sempre a sx del filo, puntando al fondo di un vago diedrino parallelo allo spigolo. Raggiunto così un terrazzino sotto un più ripido salto (III con passo III+; 1 ch. sul terrazzino) si prende un varco verso sx, all’interno di una sponda obliqua di rocce pericolosamente staccate. In tal modo ci si allontana dallo spigolo, per raggiungere un secondo e più comodo terrazzino, a pochi metri dal fondo del grande diedro-canale che scende dalla forcella fra la seconda e la terza punta (IV poi III; 1 cl. con cordino; sosta su 2 ch. con anello di calata).
L6 (30m.)
Per un diedrino e successive placche abbattute, si punta direttamente alla forcella, posta proprio sotto lo spigolo della terza punta (III).
Si sale quindi lo spigolo a dx del suo filo per rocce un po’ aggettanti ma ben appigliate, uscendo infine su comodo e panoramico terrazzino, che forma un specie parapetto verso il mare (IV con passo di V; 3 ch.; sosta su 1 spit e 1 ch. con cordino e anello di calata).
In alternativa, scavalcando il forcellino, si può arrampicare l’ombrosa paretina che sostiene la cresta sull’opposto versante, e che consente di raggiungere il medesimo terrazzino con arrampicata meno sostenuta ed esposta (III con passo di IV; 1 alberello).
Nota per il rientro (1)
Da qui è possibile interrompere l’ascensione e scendere in corda doppia, seguendo una linea di calata piuttosto rapida e diretta, che riporta nel canalone una cinquantina di metri a monte del punto dove attacca la via. Con una prima doppia da 30m. scarsi, infatti, si ritorna sul terrazzino di sosta della L5. Da qui, con una seconda doppia da 50m., si prosegue per la linea di massima pendenza, in parallelo al grande diedro-canale che scende dalla forcella fra la seconda e la terza punta. Infine, una terza ed ultima calata da 50m., si effettuata da un isolato alberello attrezzato con cordino e anello.
L7 (45m. + 50m. di trasferimento)
Dal terrazzino si percorre tutto l’affilato e aereo filo di cresta, prima sfruttando il parapetto verso il mare, e successivamente scavalcandolo. Un piccolo salto consente quindi di superare un intaglio, e raggiungere un tratto di cresta camminabile, con vari alberelli (II; 1 cordino su spuntone; sosta da attrezzare su alberi). Con breve trasferimento in conserva, si raggiunge quindi la base di una successiva cresta di rocce.
L8 (45m.)
Presa la cresta di rocce proprio alla sua attaccatura, la si segue senza scostamenti – con arrampicata un po’ complicata dalla presenza di lame piuttosto fragili – per poi ristabilirsi a monte di un profondo e netto taglio (III con passo III+; sosta su 1 ch., da rinforzare con protezioni veloci).
L9 (30m.)
Poggiando ora a sx del filo, si supera una prima parte più ripida e compatta; si prosegue quindi con difficoltà decrescenti, sfruttando anche il margine affilato della cresta, fino a quando questa muore affacciandosi oltre una costa, su panoramico pendio con belle pinete (III+ poi III; 1 ch.; sosta da attrezzare su spuntoni e protezioni veloci).
Nota per il rientro (2)
Dal punto culminante della cresta, ci si abbassa verso il colletto di origine dell’incassato canalone di discesa. Scendendo quindi all’interno dello stesso per vaghe tracce, detriti instabili, e salti di roccia (sul più alto dei quali è meglio attrezzare una corda doppia su alberi) si ritorna all’attacco della via.
Non risultano precedenti salite di questa pur notevole struttura sebbene, durante l’apertura della via, siano stati ritrovati un paio di chiodi molto vecchi sul tiro chiave della L3.
D’altra parte, è possibile che, dopo un primo tentativo, la zona non sia stata ritenuta meritevole di frequentazione, a causa della qualità (spesso non eccelsa) della roccia.