Bella via d’ambiente, sfrutta un lungo sperone della severa parete nord-est ed esce sulla vetta più imponente di tutta la zona.
L’arrampicata non è mai difficile ma neppure da sottovalutare con scarponi e zaino, e qualche passaggio è reso ostico dalla roccia non sempre solida, quindi attenzione a dove si mettono le mani ed i friends.
Sui tiri chiave la verticalità e l’esposizione è notevole. Ottima l’idea delle soste a spit, aiutano molto ma non snaturano affatto l’ascensione; per il resto si trovano pochi chiodi, ma si riesce quasi sempre a proteggersi con fettucce e friends. Non servono martello e chiodi.
Il nevaio all’attacco è ancora ben presente e ripido, noi partendo in giornata dall’auto l’abbiamo trovato già percorribile senza ramponi, alle 8.15 circa, ma se si parte alle 5 dal rifugio diventano indispensabili.
Dall’attacco, ben descritto sulla foto di Marco Foglietti, si percorre il fondo del diedro per 30/40 metri e poi si esce a destra; dopo 2 tiri si fa un centinaio di metri di dislivello in conserva, lì bisogna puntare allo spigolo di destra del torrione, dove si trova la sosta a spit.
Per il resto è quasi impossibile sbagliare.
Dall’intaglio oltre il torrione è ancora possibile una ritirata a buon mercato, calandosi dalla II sosta nel canale a sinistra (faccia a monte); proseguendo oltre diventa difficile ripiegare in caso di maltempo.
A meno di essere velocissimi e molto affiatati, non si riesce a fare tanta strada di conserva.
Bisogna calcolare almeno 5 ore dall’attacco alla vetta, inclusa la traversata delle 3 cime.
Si può usare 1 sola corda, ma deve essere almeno da 50m, ritengo che con 2 corde si resti sovente impigliati e si proceda più lenti, specialmente nei brevi spostamenti di conserva tra un torrione e l’altro.
Raggiunto il segnale Rey (comodo e panoramico per un pranzetto), conviene ritornare sulla cengia del versante italiano (est) e percorrerla fin sotto la verticale della Baretti.
Da qui salire diritti sulla vetta per rocce rotte, NON traversare ulteriormente, diventa pericoloso ed esposto.
Per raggiungere la cima Tonini noi abbiamo preferito poi rimanere in cresta, decisamente aerea ma facile, e fare la doppia nel vuoto, veloce e sicura.
Da quel punto in poi, visto quello che avrete fatto prima, la discesa dalla normale vi sembrerà un sentiero…
Sulla paretina da disarrampicare c’è una sosta per la doppia, conviene senz’altro farla se la paretina è bagnata.
Si risale brevemente al dosso successivo, e da qui parte a destra (versante francese) il canale che deposita sui nevai dove finiscono le difficoltà.
E’ ancora ben innevato, 45° circa per quasi 300 metri di dislivello, meglio avere la piccozza.
Anche sul ghiacciaio d’Arnas l’innevamento è ancora buono, il periplo è lungo ma si “sviluppa” rapidamente, fino alla faticosa ma breve risalita al Col d’Arnas.
Calcolare almeno 3 ore dalla cima Tonini al rifugio Gastaldi.
Credo che una discesa dalla via Balduino presenti rischi maggiori, i canali scaricano sassi.
Un ringraziamento a Nicola, compagno di cordata di tante avventure, e al gestore del Gastaldi per le preziose “dritte”.