La parte bassa, va percorsa con la massima attenzione nel seguire perfettamente la traccia, molte volte per niente visibile ed in questi casi e solo l’intuito che ti può aiutare; il rischio di sbagliare è elevato e se si sbaglia ti puoi trovare davanti pareti insuperabili, profondi canali e cose del genere.
Dal parcheggio salire a destra sul tetto della costruzione (ometti) e reperire una blanda traccia che sale ripida fra erbe alte sotto un rado bosco, quindi si sposta più o meno sul ciglio del canale alla nostra sinistra ed in ultimo entra nel canale e giunge a breve distanza dal grosso masso che ostruisce il canale.
Seguire gli ometti posti su alcuni massi, che ci guidano a destra a salire su terreno più ripido tra piante e vaga traccia fino ad arrivare a dei gradoni rocciosi. Continuare a seguire la traccia, che risale un paio di cenge ripide ed erbose e giunge alla base della parete di arrampicata dello Scoglio di Mroz.
Una decina di metri prima di raggiungere la base dello Scoglio, a destra, si diparte una traccia vaga che poi si perde nell’erba, che con un traverso in leggera salita giunge alla baita semi diroccata di quota 1797.
Dalla baita si reperisce la traccia della vecchia mulattiera che attraversa in leggera salita la breve pietraia e poi si perde nell’erba alta, felci rododendri, si prosegue nella direzione del canale in leggera salita, raggiunto il bordo, occorre valutare dove attraversarlo per raggiungere il lato opposto; qualche segno di passaggio di capre e camosci aiutano e con un po’ di acrobazie fra le drose, si riesce a raggiungere il costolone opposto che si risale fra erba alta, intuendo ancora i segni della vecchia mulattiera che saliva a zig-zag sulla dorsale fino all’altezza delle baite Fumà di sotto, m. 1978, poste sulla dorsale opposta, nel mezzo un altro canale da superare come prima un po’ meno duro.
Ora in alto è ben visibile su un alto dirupo un grosso ometto, che è posizionato leggermente a valle delle baite Fumà di sopra, dove occorre arrivare; si prende come riferimento il largo canale pietroso alla nostra sinistra, lo si risale fino alle placche rocciose del piccolo rio, poi due possibilità a sinistra fra le sterpaglie o leggermente a destra direttamente per le placche fino a raggiungere la parte alta del canale dove si rintraccia una esile traccia dei camosci che sale a destra e raggiunge i prati dell’alpe superiore ed in breve alle baite.
Ora ci si dirige verso i ruderi contro la parete rocciosa ed a sinistra si reperisce l’antica traccia di mulattiera che sale sopra la balza rocciosa poi risale su prati di alta montagna sempre tendente a sinistra e giunge ad un falsopiano con una specie di ricovero per animali delimitato nel contorno con muretto in pietra.
Si punta in alto ad una parete liscia e rossastra, si sale sino all’incirca alla sua base su pendio misto di erba e piccole pietre; raggiunta la base della parete, si piega a destra con traverso in salita, in parte su tracce di animali ed alcuni traversi su pietraia si raggiunge il colletto, m. 2920 circa posto alla base del cono di vetta del Gran Carro.
Dal colletto si sale facilmente fra cenge erbose e qualche facile passo di arrampicata su massi accatastati fino a raggiungere la vetta con ometto e l’immancabile triangolino di vetta del CAI di Rivarolo Canavese.
Discesa sullo stesso percorso di salita.
Nel titolo dell’itinerario “ Gran Carro o Becca della Siarda, da Sernior per il Vallone Langiasser”, sono riportati dei toponimi della gente della valle, non riportati sulle carte, ma riportati ad esempio, sul libro “Le Valli Orco e Soana” di Giovanni Bertotti, Angelo Paviolo e Alda Rossebastiano, edizioni CORSAC Orco Toponomastica 1.
La seconda fonte di storia è molto più personale ed è di conoscenza diretta del territorio da parte dei miei famigliari; mio nonno, classe 1892, è salito per ben sei anni, dall’estate 1939 all’estate 1944, con le mucche a passare la stagione estiva sugli alpeggi del Langiasser, poi mancato a fine Gennaio del 1945 e nell’estate del 1945 sono ancora saliti mio padre e mio zio.
Dopo la nostra famiglia, sono ancora salite altre famiglie della zona fin verso la metà degli anni 1950; dopo abbandono totale in quanto considerato un alpeggio brutto pericoloso e molto disagiato. Quando io ero già un po’ grandicello e già salivamo nei comodi alpeggi della Valsoana, era consuetudine alla sera dopo cena, con famiglia raccolta attorno al fuoco del camino, raccontare la storia recente della famiglia; "Langiasser" era un argomento detto in chiave moderna “molto cliccato” e proprio da questi racconti di mio padre ho imparato a conoscere i nomi del posto; a proposito di nomi per i miei famigliari le Alpi Fumà erano tre: quella di quota 1797 era Fumà di sotto, il più brutto, quello di quota 1978 era Fumà di mezzo e quello di quota 2327 era Fumà di sopra il più bello con i pascoli migliori.
- Cartografia:
- Carta dei Sentieri n° 14, L'Escursionista & Monti editori
- Bibliografia:
- CAI-TCI Gran Paradiso