Lunghezza, ingaggio, remotezza e difficoltà ne fanno un itinerario per alpinisti preparati.
Via completamente da attrezzare, soste incluse. Pochi sparuti chiodi sull'intero sviluppo (più 4/5 recenti). Oltre all'allenamento sono indispensabili discrete robustezza psicologica e dimestichezza con l'artificiale.
La roccia spesso poco solida e da leggere farà preferire ai più le superbe pareti granitiche del Valsoera e del Becco meridionale, ma una volta nella vita venire ad ingaggiarsi su questa imponente montagna che guarda dall'alto le altre cime del Piantonetto può regalare grandi soddisfazioni.
Circa 4 ore o poco più dalla macchina, anche in funzione del ghiacciaio (fossile) sottostante la parete.
Dal Carpano invece ci vogliono poco più di 2 ore.
L1 Da sotto la verticale del diedro fessurato che caratterizza la parete partire e superare un primo zoccolo appoggiato di una dozzina di metri. Per proteggersi occorre spostarsi dentro al diedro ma la roccia è davvero pessima, prestare grande attenzione. Ribaltarsi su un piccolo passo strapiombante ed accedere ad una sezione di roccia migliore (IV+). Seguire il diedro di roccia buona con alcuni passi atletici e divertenti per una ventina di metri (V/V+), fino ad un passo strapiombante dove il diedro si fa camino; usare sottili fessure a destra e sinistra dentro il camino per proteggersi e per arrampicare oppure muoversi in opposizione, uscire su lame buone con movimento atletico (VI+). Salire ancora o dritti nel diedro o facendo un traverso delicato a sinistra e poi di nuovo a destra riportandosi sulla verticale. Arrivati in prossimità di una sezione del diedro con grande lama strapiombante, spostarsi su un sistema di cengette a sinistra dove é possibile sostare sfruttando alcune fessure per i chiodi. 45/50 m, scalabile in libera.
L2 Entrare nel diedro e sfruttare la lama per salire faticosamente per alcuni metri spostandosi poi verso destra su terreno più appoggiato per evitare un grosso tetto che sbarra il diedro (10 mt, V+). Traversare un paio di metri in salita a destra fino ad un pulpito. Da qui, sfruttare una fessurina difficile e tacche nette per salire una decina di metri su parete quasi verticale. Scalata divertente e roccia abbastanza buona ma prestare attenzione alle tacche che potrebbero staccarsi, tastare bene prima (V+/ VI). Accedere nuovamente al diedro sulla sinistra entrando dentro una sezione appoggiata e molto sfasciumosa che delinea una sorta di canale lungo una quindicina di metri fino ad un comodo e largo spiazzo dove sostare, eventualmente usando un grosso masso. 40 m ca., scalabile in libera.
L3 Superare un muro chiaro e delicato sulla sinistra, difficile da proteggere, e accedere ad una cengia che presenta un grosso muro solcato da una netta fessura sulla sinistra. Abbandonare dunque il diedro che corre sulla parte destra del muro e usare la fessura che sale sulla parte sinistra dello stesso per poi infilarsi in un lungo diedro con passi verticali e strapiombanti. É possibile alternare passi in libera ed in artificiale per scalare questa sezione. In libera completa le difficoltà sarebbero presumibilmente piuttosto alte sia per la difficoltà nell’usare la fessura in alcune sezioni sia per la continuità del tiro, oltre che per la necessità di proteggersi. Non seguire il diedro fessurato fino al tetto che lo chiude (presente un cordone su due chiodi che può trarre in inganno più alcuni chiodi lasciati di recente), perché richiederebbe poi di fare un difficile traverso strapiombante a destra su roccia a tratti agghiacciante e che non permette il recupero di alcuni chiodi dato che si richiedono dei piccoli pendoli (A3?). Fare invece attenzione ad individuare una buona cengia sulla destra del diedro un po’ nascosta e ribaltarsi su di essa per fare una comoda sosta (circa 10-12 metri prima del tetto che chiude il diedro, dove si trova il cordone). In ogni caso poi le due opzioni si ricongiungono nel prosieguo della scalata. 30 o 40m, passi di V o VI in libera più artificiale fino ad A2.
L4 Spostarsi nuovamente nel diedro superando alcuni grossi massi incastrati un po’ inquietanti con passaggi atletici. Poi, sezione sempre fisica con movimenti lunghi sfruttando fessure e lame all’interno di un largo camino aperto. Accedere ad un canaletto sfasciumoso che porta fino ad una cengia sospesa costituita da massi incastrati piuttosto spaventosa e sostare usando gli stessi massi incastrati. 35m, scalabile in libera, V+ e VI.
L5 Da qui la relazione potrebbe differire con quanto riporta Grassi. Superare i complessi muri soprastanti dapprima con passi delicati e di dita sulla destra, poi traversare per una quindicina di metri verso sinistra su roccia di pessima qualità, fino allo spigolo sinistro del muro -grande esposizione- laddove presenta un tratto rotto e fessurato strapiombante con alcune maniglie buone (verificare molto bene). Non facile individuare i punti buoni per proteggersi. Ribaltarsi con difficoltà e accedere ad una zona di cenge appoggiate dove sostare. Tiro chiave della via, difficoltà inferiori al tratto di artificiale del terzo tiro ma passaggi esposti da interpretare su roccia non solida. 35/40m, scalabile in libera con passaggi di VI+.
L6 Spostarsi a sinistra e attaccare un diedro evidente che presenta due nette fessure verticali parallele. Arrampicata sempre verticale e strapiombante, affrontabile in artificiale con buone protezioni (A2), o in libera con difficoltà presumibilmente sul VII+/VIII. Al termine traversare verso sinistra con passaggio atletico e superare poi ancora un paio di salti verticali più facili fino a ritrovarsi sul filo di cresta, dove si esce e sosta. 35/40m.
Qui la via finisce e comincia il tratto in cresta per giungere in cima. Grassi indica anche come possibilità quella di scendere con le doppie sulla parete.
Seguire la cresta per affrontare gli ultimi 150 mt di dislivello, con buon sviluppo (1h30/2h circa). Continuità sul III con diversi passaggi di IV/IV+, da non sottovalutare. Affrontabile in conserva protetta.
Discesa:
Portarsi sul lato Nord in vista del sottostante ghiacciaio di Valnontey ed individuare la cresta di salita della normale (F+). Discesa non facile in realtà, tratti esposti e roccia spesso friabile. Consigliabili doppie (3 o 4 con una mezza corda, da attrezzare o usando cordoni marci in loco). Arrivare così alla fine della cresta raggiungendo il colle dal quale si dipartono 2 canali ripidi che portano fino al ghiacciaio.
La difficoltà della discesa qui dipende tutta dalle condizioni: in presenza di neve si può facilmente disarampicare o scendere magari calzando ramponi. Con canale secco é praticamente indispensabile fare delle doppie -almeno 5 con due mezze corde- data la pendenza unita alla pessima qualità del fondo che trasformano in frana qualsiasi peso che vi si appoggia.
Giungere così ai piedi della montagna e di qui al colle di teleccio su pietraia. Rientro alla diga in tempo variabile ma comunque non inferiore alle 3h.
- Bibliografia:
- "Le 100 più belle salite del Massiccio del Gran Paradiso e delle valli di Lanzo", Gian Carlo Grassi