Avvicinamento
Il sentiero inizia nel centro abitato di Rongio, una frazione di Mandello del Lario (LC). La macchina può essere lasciata lì (piccolo parcheggio accanto a un bar) oppure in un altri due parcheggi più ampi, accanto e sotto il campo sportivo.
Dalla piazzetta del bar di Rongio, si segue in ripida salita la strada asfaltata che conduce alle ultime ville di questa frazione di Mandello. Senza soluzione di continuità, il tracciato diventa una carrareccia acciottolata, che in sostanza è quella che conduce al ponte di ferro e poi al rifugio Elisa e dalla quale si dirama anche il sentiero "normale" per il rifugio Rosalba da Mandello.
Questo invece non è il sentiero normale, per cui dopo 100-200 m di acciottolato bisogna già deviare sulla destra, imboccando l'altra carrareccia (segnavia n. 12), che conduce ai Colonghei (da cui c'è un terzo itinerario di salita al Rosalba) e poi ai Resinelli. Non si può comunque sbagliare, perché le frecce sulla palina indicatrice sono, almeno in questo caso, abbastanza chiare. Qualche centinaio di metri con pendenza altrettanto sostenuta (la strada è anche un po' gradinata) e si arriva alle baite di Rossana, dove si deve abbandonare la traccia principale e seguire verso sinistra, brevemente in falsopiano. Se la borraccia è vuota, conviene rabboccarla alla fonte ben visibile, perché poi non ci saranno altre possibilità di abbeverarsi. Altri 100-200 metri di sterrato quasi orizzontale (che ricondurrebbe verso la carrareccia che risale la val Meria) ed è già il momento dell'ennesima deviazione: si prende la traccia più stretta di destra, che conduce allo zucco di Manavello o alla bocchetta di Portorella.
Il sentiero risale obliquo (più o meno in direzione sud / sud-est) il bosco che ricopre le basse pendici dello zucco di Manavello, con pendenza che non è né blanda né troppo sostenuta. Il tratto è abbastanza tedioso ma, se non altro, la fitta vegetazione protegge dal sole, che altrimenti sarebbe davvero cocente, a una quota così bassa (si viaggia tra i 500-1.000 m). Dopo una mezz'oretta dalla partenza (ma potrebbero essere 3/4 d'ora per un camminatore medio o anche di più per uno meno allenato), si raggiunge l'evidente bivio per il baitello di Manavello: si abbandona la traccia principale, che condurrebbe direttamente alla bocchetta di Portorella, e si fa un quasi dietro-front, seguendo il sentiero che invece punta in direzione nord / nord est.
Cambia il verso di marcia ma non la fatica, perché - se possibile - il sentiero si fa in alcuni tratti ancor più ripido e qua e là ci sono strappetti che, in bicicletta, varrebbero il Mortirolo. Come sul Mortirolo, ci sono all'inizio un po' di tornanti e contro-tornanti, poi finalmente la traccia spiana un po' e, bordeggiando le medie pendici dello zucco di Manavello, si riporta quasi sulla verticale del punto di partenza (Rongio). Altri 4-5 tornanti meno faticosi dei precedenti, dove la copertura boscosa si fa più rada e si apre qualche piccolo scorcio sul ramo di Lecco del lago di Como, e si è finalmente sul costone finale dello Zucco, che il sentiero risale quasi frontale, serpeggiando appena. Già si intravede il baitello con la sua bandiera tricolore e, per arrivarci, e c'è solo da risalire gli ultimi gradoni scavati sul fianco nord della tondeggiante propaggine erbosa. Questo tratto del sentiero è ingabbiato da catene su entrambi i lati, probabilmente perché d'inverno - col fondo innevato - la sua esposizione sulla ripida scarpata lo rende pericoloso. Il piccolo rifugio (1.060 m) è appunto un baitello di legno con una bella terrazza erbosa di fronte, da cui si gode di un'eccellente vista sul lago di Como e sul bacino delle valli d'Era e Meria. Sin qui, circa 1 h a passo sostenuto (forse 1h30 ad andatura più turistica).
Senza particolare fatica né difficoltà, si rimonta quasi tutta la cima tondeggiante dello zucco di Manavello, la si costeggia (con ottimo panorama) sul fianco rivolto al lago, si perde qualche decina di metri di quota per raggiungere quella che dovrebbe essere la bocchetta di Portorella e, in leggera risalita, si arriva al crocevia dove confluisce il sentiero che si era abbandonato tre quarti d'ora prima (palina con varie frecce). Anche se si è appena a metà del dislivello, qui si conclude la parte più tediosa della salita e inizia quella più appagante, seppure non meno faticosa.
Si continua per qualche minuto in leggero saliscendi sull'ampia cresta boscosa, sino ad arrivare alle pendici dello zucco di Portorella. Da qui in avanti il sentiero è battuto da rari avventurieri e quindi la traccia può talvolta essere sommersa dal folto tappeto erboso che le cresce accanto. Comunque, la marcatura con bolli gialli è ben visibile ed è pressoché impossibile perdersi.
Si rimonta, quasi sgattaiolando, un ripido costolone erboso e poi, con un traverso discretamente lungo, ci si porta sotto l'ampio pendio nord dell'ennesimo zucco. Segue una lunga sequenza di tornanti , che si può solo definire come estenuante. Ogni tanto il tracciatore si è dimenticato di disegnare la curva a gomito e la traccia spara su frontale per il pendio, in una sorta di dry-tooling per terra e erba. Quando si è quasi alla fine del declivio, appaiono anche le prime rocce e conviene arrestarsi per una retrospettiva sulla cresta erbosa che passa per lo zucco di Manavello e che scende a Mandello. Si sgattaiola tra roccioni calcarei e si raggiunge una microscopica selletta, che riporta sul versante del lago e che obbliga a perdere qualche metro del dislivello faticosamente conquistato, sotto una ripida parete rocciosa e al fresco di un rado boschetto. Dalla ripartenza della bocchetta di Portorella, potrebbe essere trascorsa tra mezz'ora e tre quarti d'ora, a seconda dell'andatura.
Il fatto di scendere è però solo un'illusione, perché segue un ripidissimo canalino erboso/terroso, che dà accesso a un'altra microscopica selletta, oltre la quale c'è il passaggio-chiave dell'intera salita. Sulla sinistra c'è una breve paretina calcarea molto fratturata, che bisogna risalire in obliquo: se si ha un minimo di dimestichezza con l'uso delle mani e dei piedi, la si rimonta senza eccessivi patemi; alla peggio, ci si tira su di forza per la catena. Superatala, si entra in un ampio catino verdeggiante, un po' ricoperto da boscaglia e un po' prativo e coronato da varie guglie calcaree.
Si bordeggia quello che dovrebbe essere il pendio sud dello zucco di Portorella e, trovato un varco erboso, lo si risale sino a raggiungere la linea di cresta, oltre la quale si può gettare lo sguardo (non se stessi ;)), per avere una nuova, e più panoramica, retrospettiva di gran parte dell'avvicinamento compiuto in precedenza. Da qui in avanti, la traccia risale in modo variegato le varie protuberanze tondeggianti della cresta: un po' serpeggia in mezzo al prato disseminato di pietro e un po' c'è da sgattaiolare su macigni più grossi. Il contorno è davvero pittoresco e selvaggio, grazie al fatto che ben poche suole lo calcano durante l'intero anno.
L'ultimo zucco, il cui nome mi è ignoto, è decisamente più pronunciato degli altri ed è un'eccellente terrazza panoramica, da cui si può contemplare verso sud-est il catino che si sta abbandonando, verso nord il lago di Como sino a Bellagio e verso est la cresta del Pertusio, che da qui in avanti si fa più pianeggiante (la quota raggiunta dovrebbe essere ormai tra i 1.500-1.600 m). C'è da scendere per una decina di metri di dislivello e, con le ultime serpentine e un breve traverso, si aggira la spalla che dà accesso al bacino dei Resinelli. Dopo 1 ora e un quarto (diciamo 1 e tre quarti per un camminatore meno spedito) dalla bocchetta di Portorella, le fatiche sono davvero finiti e ora c'è da godersi l'ultimo saliscendi panoramico sino al rifugio Rosalba, che sta solo un centinaio di metri di dislivello più in su.
Per un lungo tratto, il sentiero corre quasi orizzontale, 10-20 metri sotto la linea della cresta del Pertusio. Poi, dove il filo cessa di essere roccioso e diventa piuttosto uno spartiacque tra i prati rivolti a sud e i boschi che ne ricoprono le pendici settentrionali, la traccia ne segue più fedelmente l'andamento. E' davvero piacevole camminare leggiadri dopo le fatiche delle ore precedenti, osservando con un certo sadismo i poveretti che arrancano sugli ultimi impervi tornanti del sentiero delle Foppe :) La vista, poi, è davvero bella sul versante orientale della Grignetta, che è quello più ricco di guglie e di strutture fantasiose.
Ad un certo punto, il sentiero si porta sul versante boscoso nord-orientale, che non si abbandonerà sino alla fine. Ancora un paio di sali-scendi (più i primi che i secondi), la piante si dissolvono e il nido d'aquila del rifugio Rosalba si materializza davanti agli occhi, preceduto da un ampio pinnacolo di roccia. L'arrivo non è dei più poetici, perché si costeggia dapprima un casotto di servizio di cemento armato e poi dei pannelli fotovoltaici, ma l'autonomia di un rifugio così isolato richiede inevitabilmente questi supporti tecnologici. Si risalgono gli ultimi quattro gradoni e si calca finalmente l'ampia spianata artificiale che è stata ricavata davanti al rifugio, dove sostanzialmente dovrebbe terminare la cresta del Pertusio e dove sicuramente troverete un variegato mix di escursionisti e arrampicatori.
Dalla piazzetta del bar di Rongio, si segue in ripida salita la strada asfaltata che conduce alle ultime ville di questa frazione di Mandello. Senza soluzione di continuità, il tracciato diventa una carrareccia acciottolata, che in sostanza è quella che conduce al ponte di ferro e poi al rifugio Elisa e dalla quale si dirama anche il sentiero "normale" per il rifugio Rosalba da Mandello.
Questo invece non è il sentiero normale, per cui dopo 100-200 m di acciottolato bisogna già deviare sulla destra, imboccando l'altra carrareccia (segnavia n. 12), che conduce ai Colonghei (da cui c'è un terzo itinerario di salita al Rosalba) e poi ai Resinelli. Non si può comunque sbagliare, perché le frecce sulla palina indicatrice sono, almeno in questo caso, abbastanza chiare. Qualche centinaio di metri con pendenza altrettanto sostenuta (la strada è anche un po' gradinata) e si arriva alle baite di Rossana, dove si deve abbandonare la traccia principale e seguire verso sinistra, brevemente in falsopiano. Se la borraccia è vuota, conviene rabboccarla alla fonte ben visibile, perché poi non ci saranno altre possibilità di abbeverarsi. Altri 100-200 metri di sterrato quasi orizzontale (che ricondurrebbe verso la carrareccia che risale la val Meria) ed è già il momento dell'ennesima deviazione: si prende la traccia più stretta di destra, che conduce allo zucco di Manavello o alla bocchetta di Portorella.
Il sentiero risale obliquo (più o meno in direzione sud / sud-est) il bosco che ricopre le basse pendici dello zucco di Manavello, con pendenza che non è né blanda né troppo sostenuta. Il tratto è abbastanza tedioso ma, se non altro, la fitta vegetazione protegge dal sole, che altrimenti sarebbe davvero cocente, a una quota così bassa (si viaggia tra i 500-1.000 m). Dopo una mezz'oretta dalla partenza (ma potrebbero essere 3/4 d'ora per un camminatore medio o anche di più per uno meno allenato), si raggiunge l'evidente bivio per il baitello di Manavello: si abbandona la traccia principale, che condurrebbe direttamente alla bocchetta di Portorella, e si fa un quasi dietro-front, seguendo il sentiero che invece punta in direzione nord / nord est.
Cambia il verso di marcia ma non la fatica, perché - se possibile - il sentiero si fa in alcuni tratti ancor più ripido e qua e là ci sono strappetti che, in bicicletta, varrebbero il Mortirolo. Come sul Mortirolo, ci sono all'inizio un po' di tornanti e contro-tornanti, poi finalmente la traccia spiana un po' e, bordeggiando le medie pendici dello zucco di Manavello, si riporta quasi sulla verticale del punto di partenza (Rongio). Altri 4-5 tornanti meno faticosi dei precedenti, dove la copertura boscosa si fa più rada e si apre qualche piccolo scorcio sul ramo di Lecco del lago di Como, e si è finalmente sul costone finale dello Zucco, che il sentiero risale quasi frontale, serpeggiando appena. Già si intravede il baitello con la sua bandiera tricolore e, per arrivarci, e c'è solo da risalire gli ultimi gradoni scavati sul fianco nord della tondeggiante propaggine erbosa. Questo tratto del sentiero è ingabbiato da catene su entrambi i lati, probabilmente perché d'inverno - col fondo innevato - la sua esposizione sulla ripida scarpata lo rende pericoloso. Il piccolo rifugio (1.060 m) è appunto un baitello di legno con una bella terrazza erbosa di fronte, da cui si gode di un'eccellente vista sul lago di Como e sul bacino delle valli d'Era e Meria. Sin qui, circa 1 h a passo sostenuto (forse 1h30 ad andatura più turistica).
Senza particolare fatica né difficoltà, si rimonta quasi tutta la cima tondeggiante dello zucco di Manavello, la si costeggia (con ottimo panorama) sul fianco rivolto al lago, si perde qualche decina di metri di quota per raggiungere quella che dovrebbe essere la bocchetta di Portorella e, in leggera risalita, si arriva al crocevia dove confluisce il sentiero che si era abbandonato tre quarti d'ora prima (palina con varie frecce). Anche se si è appena a metà del dislivello, qui si conclude la parte più tediosa della salita e inizia quella più appagante, seppure non meno faticosa.
Si continua per qualche minuto in leggero saliscendi sull'ampia cresta boscosa, sino ad arrivare alle pendici dello zucco di Portorella. Da qui in avanti il sentiero è battuto da rari avventurieri e quindi la traccia può talvolta essere sommersa dal folto tappeto erboso che le cresce accanto. Comunque, la marcatura con bolli gialli è ben visibile ed è pressoché impossibile perdersi.
Si rimonta, quasi sgattaiolando, un ripido costolone erboso e poi, con un traverso discretamente lungo, ci si porta sotto l'ampio pendio nord dell'ennesimo zucco. Segue una lunga sequenza di tornanti , che si può solo definire come estenuante. Ogni tanto il tracciatore si è dimenticato di disegnare la curva a gomito e la traccia spara su frontale per il pendio, in una sorta di dry-tooling per terra e erba. Quando si è quasi alla fine del declivio, appaiono anche le prime rocce e conviene arrestarsi per una retrospettiva sulla cresta erbosa che passa per lo zucco di Manavello e che scende a Mandello. Si sgattaiola tra roccioni calcarei e si raggiunge una microscopica selletta, che riporta sul versante del lago e che obbliga a perdere qualche metro del dislivello faticosamente conquistato, sotto una ripida parete rocciosa e al fresco di un rado boschetto. Dalla ripartenza della bocchetta di Portorella, potrebbe essere trascorsa tra mezz'ora e tre quarti d'ora, a seconda dell'andatura.
Il fatto di scendere è però solo un'illusione, perché segue un ripidissimo canalino erboso/terroso, che dà accesso a un'altra microscopica selletta, oltre la quale c'è il passaggio-chiave dell'intera salita. Sulla sinistra c'è una breve paretina calcarea molto fratturata, che bisogna risalire in obliquo: se si ha un minimo di dimestichezza con l'uso delle mani e dei piedi, la si rimonta senza eccessivi patemi; alla peggio, ci si tira su di forza per la catena. Superatala, si entra in un ampio catino verdeggiante, un po' ricoperto da boscaglia e un po' prativo e coronato da varie guglie calcaree.
Si bordeggia quello che dovrebbe essere il pendio sud dello zucco di Portorella e, trovato un varco erboso, lo si risale sino a raggiungere la linea di cresta, oltre la quale si può gettare lo sguardo (non se stessi ;)), per avere una nuova, e più panoramica, retrospettiva di gran parte dell'avvicinamento compiuto in precedenza. Da qui in avanti, la traccia risale in modo variegato le varie protuberanze tondeggianti della cresta: un po' serpeggia in mezzo al prato disseminato di pietro e un po' c'è da sgattaiolare su macigni più grossi. Il contorno è davvero pittoresco e selvaggio, grazie al fatto che ben poche suole lo calcano durante l'intero anno.
L'ultimo zucco, il cui nome mi è ignoto, è decisamente più pronunciato degli altri ed è un'eccellente terrazza panoramica, da cui si può contemplare verso sud-est il catino che si sta abbandonando, verso nord il lago di Como sino a Bellagio e verso est la cresta del Pertusio, che da qui in avanti si fa più pianeggiante (la quota raggiunta dovrebbe essere ormai tra i 1.500-1.600 m). C'è da scendere per una decina di metri di dislivello e, con le ultime serpentine e un breve traverso, si aggira la spalla che dà accesso al bacino dei Resinelli. Dopo 1 ora e un quarto (diciamo 1 e tre quarti per un camminatore meno spedito) dalla bocchetta di Portorella, le fatiche sono davvero finiti e ora c'è da godersi l'ultimo saliscendi panoramico sino al rifugio Rosalba, che sta solo un centinaio di metri di dislivello più in su.
Per un lungo tratto, il sentiero corre quasi orizzontale, 10-20 metri sotto la linea della cresta del Pertusio. Poi, dove il filo cessa di essere roccioso e diventa piuttosto uno spartiacque tra i prati rivolti a sud e i boschi che ne ricoprono le pendici settentrionali, la traccia ne segue più fedelmente l'andamento. E' davvero piacevole camminare leggiadri dopo le fatiche delle ore precedenti, osservando con un certo sadismo i poveretti che arrancano sugli ultimi impervi tornanti del sentiero delle Foppe :) La vista, poi, è davvero bella sul versante orientale della Grignetta, che è quello più ricco di guglie e di strutture fantasiose.
Ad un certo punto, il sentiero si porta sul versante boscoso nord-orientale, che non si abbandonerà sino alla fine. Ancora un paio di sali-scendi (più i primi che i secondi), la piante si dissolvono e il nido d'aquila del rifugio Rosalba si materializza davanti agli occhi, preceduto da un ampio pinnacolo di roccia. L'arrivo non è dei più poetici, perché si costeggia dapprima un casotto di servizio di cemento armato e poi dei pannelli fotovoltaici, ma l'autonomia di un rifugio così isolato richiede inevitabilmente questi supporti tecnologici. Si risalgono gli ultimi quattro gradoni e si calca finalmente l'ampia spianata artificiale che è stata ricavata davanti al rifugio, dove sostanzialmente dovrebbe terminare la cresta del Pertusio e dove sicuramente troverete un variegato mix di escursionisti e arrampicatori.
- Cartografia:
- TCI, Gruppo delle Grigne 1:20.000
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