Capolavoro. L’intuito degli apritori è un chiaro esempio della creatività umana: visione di ciò che ad altri è invisibile, accettazione del rischio e movimento verso l’ignoto, sino alla creazione di un’opera unica, irrinunciabile. Arco e la valle del Sarca sono spesso il rifugio di alpinisti e climbers alla ricerca di bel tempo o del caldino nelle stagioni fredde. Vie salgono su ogni spazio libero di roccia tra la vegetazione e spesso anche attraverso la vegetazione. All’interno delle mille e mille vie, la maggior parte delle quali senza infamia e senza gloria, si trovano dei gioielli puri e indiscutibilmente belli che compensano totalmente il viaggio indipendentemente dal tempo e dalla stagione: Mescalito è, secondo me, una di queste. Il fatto che non ci fosse nessuno tranne noi su tutta Rupe Secca (a parte qualcuno su 5 stagioni) in un fresco sabato di agosto la dice lunga sulle mode che predominano nel mondo dell’arrampicata. Ma io credo fermamente nei corsi e ricorsi storici…
Aggiungo qualche impressione e commento a quanto già scritto da maivory.
L1: Ricomparsa la piastrina del terzo spit, anche se 50-60 cm sopra ora c’è pure un buon chiodo. Lunghezza subita tosta, ben protetta, ma con protezioni che non consentono di certo l’azzeramento (6a+). Riscaldamento a palla.
L2: Anche nella seconda lunghezza è meglio fare utilizzo di protezioni veloci: prima e unica protezione nei primi 15 metri un cordone con nodo incastrato nella fessura del primo diedro. Diedro sucessivo a campana tostissimo. E dopo il cordone strategico non è finita: ancora 3-4 metri belli tosti risolvibili con incastro di spalla. Almeno 6b+. Per chi suona la campana.
L3: Placca e bombature per una lunghezza magnifica. Qui a vista (e anche non) è tostissima. Tutto movimento e dita d’acciaio, soprattutto i primi 5 metri (6c). Protetta inizialmente da A0 ma con un obbligatorio comunque vicino al 6b. A svista.
L4 – L5: consiglio di unire i due tiri; sono due traversi in direzioni opposte, ma con il giusto posizionamento delle protezioni la corda scorre bene. Difficoltà leggermente inferiori ai tiri precedenti; comunque in L4 per arrivare alla cengia un bel 6a con protezione lontana ci sta tutto. L5 un bel traversone e un bel passaggio finale per arrivare in sosta (5c). Zig zag con qualche lama che suona a vuoto, ma magnifico lo stesso. Porta tra due paradisi.
L6: Un diedro così attaccato in un mare di placche è da sogno. Ben protetto, sostenuto e che ti lascia su una placca da urlo in cui tirare la libera (6b). Chiodo a pressione e spit degli apritori. La felicità dell’arrampicatore.
L7: Tiro incredibile per conformità e concezione. Sulla placca l’obbligatorio è alto (VII dice Filippi, e ci sta tutto). Tra una protezione e l’altra bisogna viaggiare: non si azzera nulla. Chiodi normali, rari spit e clessidre, tutto qui; e una sequenza da intuire e ricercare: molto di movimento e dita forti (6c). E poi il tetto: storia a parte. L’arrampicata cambia e, ad averne ancora, bisogna usare bene i bicipiti e alzare bene, bene i piedi (6c/7a). Indescrivibile.
L8-L9: Si possono unire questi due tiri, mettendo bene le protezioni per fare sosta, come dice Jacopelli, su clessidra e spit su una bella cengetta 5 metri sopra la placca/diedro appoggiato. Si parte sul traverso a far prendere aria alle chiappe. Esposizione non male…E poi strapiombo continuo su prese nette, buconi e chi più ne ha più ne metta. Ma bisogna tenere, perché per 10 metri di protezioni non ce ne sono. E poi, sopra la provvidenziale protezione, boulderino d’uscita (6a). Placca appoggiata e poi muretto di V. Arioso.
L10: Si esce su belle placche a buchi di V e IV+. Fine del viaggio mescalitico.
Un Grazie di cuore a Julieeen. Alè!