Note
Storico
Via attrezzata con chiodi da infissione artigianali più alcuni fix alle soste e sul passo chiave della via, in parte posizionati durante un precedente sopraluogo in corda sui primi due tiri della via.
La via raggiunge la sommità di un tozzo torrione che si stacca dal versante settentrionale dei monti Tardia, ma che emerge a malapena sull’opposto versante, dove transita la comoda mulattiera che scende verso il passo della Gava, e che poi si usa per il rientro.
Il tutto a partire dal punto più basso di uno sporgente zoccolo di roccia (L1-L2) per poi prendere un vago spigolo (L3-L4) in direzione di un ultimo e un po' arretrato bastione (L5).
Avvicinamento
La via raggiunge la sommità di un tozzo torrione che si stacca dal versante settentrionale dei monti Tardia, ma che emerge a malapena sull’opposto versante, dove transita la comoda mulattiera che scende verso il passo della Gava, e che poi si usa per il rientro.
Il tutto a partire dal punto più basso di uno sporgente zoccolo di roccia (L1-L2) per poi prendere un vago spigolo (L3-L4) in direzione di un ultimo e un po' arretrato bastione (L5).
Lasciata la macchina presso la caratteristica e panoramica piazzetta dell’alpestre paese di Sambuco, s’imbocca la rampa asfaltata che sale verso sx (faccia a monte). Giunti alle ultime case, si supera un cancelletto da richiudere (animali al pascolo) e, dopo poco, s’inizia a risalire il pendio in direzione del passo della Gava (segnavia banda rossa e bianca). In breve, il sentiero intercetta un panoramico camminamento al servizio di una captazione poco prima di un’evidente frana che ha lasciato i relativi tubi completamente scoperti per alcuni metri. Superato il passaggio sconnesso, si prosegue quindi in traverso verso il fondo della valle. Si giunge così ad intercettare i torrenti Malanotte e Gava poco sopra la relativa confluenza, e poco sotto l’impianto di captazione (30 min. circa dal posteggio). Prima di scendere a guadare i due corsi d’acqua, però, conviene individuare tre spallette rocciose sovrapposte che incombono sull’opposta sponda, e che segnano l’ingresso nella parte più selvaggia del percorso, per tracce lasciate dagli stessi apritori della via. Subito dopo il duplice guado, infatti, occorre abbandonare il sentiero che sale al passo della Gava, uscendo in direzione opposta allo stesso, per risalire un rado boschetto, e intercettare la pietraia che costeggia le tre spallette rocciose (ometti). Attraversata la pietraia, si punta quindi alla selletta fra la prima e la seconda spalla, posta a monte di un isolato alberello di pino. Si scova così un più agevole varco, dopo il quale si prende una serie di corde fisse ancorate su fix, che aiutano a traversare un ripido pendio di brughi, fino ad intercettare un fosso piuttosto marcato (che di solito porta un filo d’acqua) subito a monte di una cascatella alta una decina di metri (ometti e ulteriore corda fissa poco prima del fosso). Oltrepassato il fosso, si attraversa una colata di grossi blocchi, per prendere il filo erboso del costone, che poi si risale fino al punto più basso del I° pilastro, che è il più vicino (e complessivamente anche il più coricato) dei tre finora percorsi; costeggiandolo verso dx per una cinquantina di metri, si raggiunge la base di una ruvida placca chiodata, che sporge a sbalzo sopra una cengetta, dove attacca la via “Guidati dalle stelle” (targhetta di metallo; 20 min. circa dal duplice guado e 50 min. circa dal posteggio). Da qui s’inizia a risalire la ripida valletta in riva dx al fosso, fino alla base di un più evidente canalone, che occorre rimontare al meglio, per guadagnare la sommità. A tal fine, si arranca inizialmente sulla sua sponda sx, e poi su quella dx (corde fisse) fino ad una strozzatura che si supera uscendo sul pendio a sx, per mezzo di una cengetta attrezzata (cavo). Raggiunta così la sommità del I° pilastro, in breve si guadagna sia panoramico balconata a monte del II° pilastro (dove esce la via “Cerro Tardia”) sia quella a monte del III° pilastro (dove esce invece la via “Il canto del martello”) collegata alla precedente da una caratteristica cengia, detta “degli apache”.
evitando ora di abbassarsi troppo, si traversa sopra l’imboccatura di un piccolo ma autentico canyon, puntando alla base di un tozzo ma evidente torrione, dove forma uno sporgente e più massiccio zoccolo. L’attacco della via si raggiunge per una rampetta obliqua che porta a sx del filo, dove lo zoccolo si attacca al pendio forma una diedrino erboso (targhetta di metallo; 40 min. circa dalla base del I° pilastro; 1h30 circa dal posteggio).
Descrizione
evitando ora di abbassarsi troppo, si traversa sopra l’imboccatura di un piccolo ma autentico canyon, puntando alla base di un tozzo ma evidente torrione, dove forma uno sporgente e più massiccio zoccolo. L’attacco della via si raggiunge per una rampetta obliqua che porta a sx del filo, dove lo zoccolo si attacca al pendio forma una diedrino erboso (targhetta di metallo; 40 min. circa dalla base del I° pilastro; 1h30 circa dal posteggio).
- L1 (20 m) Disdegnando il diedrino erboso all’attaccatura dello zoccolo, si vince una prima spalletta forzando il passaggio sul compatto muro a dx dello stesso (V/A0 sfruttando il primo chiodo come appoggio; 4 ch.; aggirabile per facile diedrino erboso a sx). Dalla prima spalletta si guadagna quindi la sommità di un blocco staccato, che consente di afferrare delle buone maniglie, e vincere così il successivo atletico strapiombetto (V; 3 ch. e 1 spit; sosta su 2 spit con anelli).
- L2 (15 m) (+ 25 m di trasferimento) Il risalto di roccia sopra la sosta si aggira verso sx, per ristabilirsi alla base di un più compatto muro (passo III; 1 ch. sopra la sosta da allungare quanto basta); il muro, breve ma intenso, si vince uscendo al centro, per mezzo di una netta cornice obliqua da dx verso sx (IV; 2 ch.; aggirabile per facile canalino a dx). Con breve trasferimento su rampa erbosa, si raggiunge quindi la sommità dello zoccolo, dove il corpo centrale del torrione forma un vago spigolo (sosta su 2 spit con catena).
- L3 (35 m) Salendo al meglio in obliquo a dx del filo (III; 2 ch.) si scova un risolutivo diedrino di roccia “meno peggio”, poco prima un profondo camino obliquo con roccia marcia all’interno. Il diedrino è piuttosto chiuso e aggettante: si esce bene sulla faccia a dx, se si sfrutta quella a sx con tecnico movimento in opposizione (IV+; 3 ch.). si prosegue quindi per un canale di rocce rotte ed erbose che si origina dal profondo camino obliquo, fino alla base di un compatto muro con rampa inclinata verso sx, dove si sosta (II e III; 2 ch.; sosta su 2 spit con anello).
- L4 (20 m) (+ 25 m di trasferimento) Innanzandosi per mezzo della rampa inclinata, si riesce a raggiungere una netta e risolutiva fessura, con uscita in verticale su roccia stranamente buona e ben appigliata (IV; 2 ch.). Un successivo e più facile risalto si supera sempre per mezzo di una rampa obliqua, inclinata però verso dx; si raggiunge così una spalletta erbosa con gendarme e roccioni; sostando sul primo gendarme si può quindi recuperare il compagno (sosta su 1 ch. e 1 spit con anello) per poi trasferirsi in conserva ad un forcellino, alla radice di un ultimo e un po’ arretrato bastione (passo III; 1 ch. su roccione; sosta su 1 spit).
- L5 (40 m) Guadagnato una specie di pulpito, si sale sul filo di cresta dell’ultimo e un po’ arretrato bastione, fino a quando la struttura si esaurisce saldandosi al restrostante pendio (II e III; 2 ch.; sosta su 1 spit).
Via aperta da G. Pizzorni e S. Rellini in data 24/6/202
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